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LEGGE SUGLI ECOREATI: I DUBBI

L’entrata in vigore della legge in materia di delitti ambientali, approvata a larghissima maggioranza dalla Camera dei Deputati e dal Senato, ha l’obiettivo di combattere i danni gravi all’ambiente, e allo scopo ha inserito il disastro ambientale (articolo 452 quater) fra gli ecoreati del nuovo Titolo VI bis del codice penale.
L’Italia si adegua così all’auspicio formulato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 327/2008, di creare una figura di reato autonoma rispetto a quella di disastro innominato.
La legge sugli ecoreati è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 28 maggio, e anche se le reazioni sono sostanzialmente positive per un provvedimento che si attendeva da anni, non mancano i dubbi.
Il timore è che le nuove regole, in vigore dal 29 maggio, pensate per combattere comportamenti pericolosi per l’ambiente, abbiano un effetto collaterale non previsto dal legislatore: concretamente anche ipotesi meno gravi potrebbero finire nel mirino della magistratura. Così, già viene chiesto che le regole siano integrate.
In particolare, il primo problema riguarda la formulazione dei reati di inquinamento e disastro ambientale: in virtù della formulazione letterale delle norme, molte imprese temono che i magistrati in sede di applicazione concreta possano interpretarle punendo anche comportamenti di scarsa gravità. Sostanzialmente, con questa norma il pericolo è che anche situazioni meno gravi vengano punite con la reclusione.
In particolare, Dino Piacentini, presidente Aniem, si è esposto in merito alla questione del ravvedimento operoso: “Si tratta di un meccanismo alquanto benevolo, poiché non è prevista distinzione alcuna tra dolo e colpa. Ci troviamo di fronte alla inaccettabile possibilità di equivalente punibilità di delitto ambientale per incidente non intenzionale, e delitto per mano delle ecomafie. Nonostante le richieste dell’Ue siano formulate in termini di introduzione di sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive a tutela dell’ambiente“.
La scappatoia del ravvedimento dovrebbe essere concessa solo nei casi meno gravi di reato colposo. “Oltretutto – prosegue il presidente Aniem – le tempistiche per il ravvedimento sembrano disallineate da quelle del dibattimento di primo grado: il ravvedimento è ammissibile soltanto se le bonifiche vengono realizzate entro l’inizio di quest’ultimo. Quando, invece, i tempi dei procedimenti amministrativi di bonifica e dei relativi interventi sono molto più lunghi”. Anche su questo servirebbero dei ritocchi.
Ulteriore problematica risiede nell’assenza di indirizzi specifici, per cui le aziende potrebbero avere problemi a superare i controlli in materia ambientale, e quindi trovarsi a rispondere addirittura di reati.